Nel secolo d’oro ad Atene [500-400 a.C.] in cui gli uomini erano felici e saggi, è vissuto Euripide, forse il più grande scrittore di tragedie dell’intera umanità. Non per questo era anche un filosofo e non a caso ci ha lasciato una tragedia paradigmatica fra le tante, sul genere dell’omicidio trasversale. Il titolo è “Medea”. La trama affonda le radici nel mithos, cioè nel discorso narrativo d’intensità emblematica, e si adatta in pieno alla realtà di sempre. Medea uccide i suoi due figli, avuti con un uomo, che l’ha abbandonata per un’altra donna. La storia, nel proporre fatti o miti, che siano, è lì ad ammonire il genere umano. Il quale allegramente se n’infischia dei fatti, relegando sullo sfondo i miti. Il fatto di oggi, quello accaduto ad Ischitella, sebbene il protagonista principale appartenga al genere maschile e la vittima predestinata sia la figlia della ex e non sua, il suo delitto efferato [non ci sono altri termini più incisivi in uso] ricalca solo in parte l’azione di” Medea”, poiché il movente del tale è di gran lunga più debole. Che dire di Nicolina, abbandonata in mezzo alla strada? Che ha pagato per gente troppo impegnata a tallonare istinti passionali? E che per questo i suoi genitori se ne sono andati alla ricerca di un luogo, per credersi in sicurezza? E dell’assassino? Io personalmente non ho nessuna intenzione di dare risposte a interrogativi di tale pesantezza. Mi pare più giusto lasciare giudizi, congetture e opinioni ad altri. Mi sorge invece spontanea una riflessione: chi sbaglia forse ha diritto di rifarsi una vita, ma Nicolina non aveva il diritto d’iniziarne una, la sua di vita? Posso solo limitarmi a dire con certezza una cosa: la storia si è vendicata, anche in questo caso, segnalando che per ogni nefandezza umana di oggi, c’ è sempre una tragedia greca, concepita migliaia di anni or sono, a ricordarcelo.